Boni: "Ricordo benissimo primo giorno a Genova. Suarez maestro di vita. Herrera idee proiettate nel futuro"
Nella sessantunesima puntata del programma Belin che Calcio, condotto da Marco Benvenuto e Franco Ricciardi, è intervenuto Loris Boni. L'ex centrocampista, che a Genova ha lasciato ottimi ricordi, ha ripercorso alcuni passaggi dell'avventura vissuta con l'ardente scudo sopra il cuore, iniziando dalla scoperta casuale del trasferimento dalla Solbiatese alla Sampdoria.
"Quando scoprii del trasferimento alla Sampdoria fu una sorpresa, senza sapere che ci fosse questa possibilità. Uscivo spesso in bici con un amico a fare pedalate tranquille ma di molti chilometri, nel ritorno gli dissi che volevo fermarmi in un’edicola perché volevo mettermi qualcosa sullo stomaco per proteggermi dall’aria e così comprai la Gazzetta. Poi decidemmo di guardare cosa era successo quel giorno, ci fermammo un attimo, aperto il giornale c’erano i trasferimenti e vidi Boni alla Sampdoria. Non ero stato neppure avvisato.
Ero un ragazzino che di fronte ai giocatori che erano alla Sampdoria ero letteralmente emozionato. Mi ricordo benissimo il primo giorno a Genova quando mi convocarono in via XX Settembre, una volta la sede era lì. Quando arrivai c’era una persona seduta su una poltrona, sicuramente era un giocatore, abbronzatissimo con una maglia traforata incredibile, si vedeva benissimo che era stato al mare, con un atteggiamento da campione ed infatti era Nello Santin. Me lo presentarono in sede, con un’emozione totale conobbi un mio compagno che poi divenne anche una sorta di mio pigmalione perché con Nello Santin uscivamo spesso insieme, lui all’epoca non era sposato, era anche uno di quelli che mi dava sempre dei consigli.
Nella Sampdoria di allora c’erano Battara, Santin, Rossinelli, Sabatini Pietro, Corni, Lippi, Salvi. Suarez era un maestro di vita e di insegnamento. Heriberto Herrera mi fece sempre stare in camera con lui nei ritiri, e questa era già una difficoltà. Era un po’ come il figlio che stava col padre, l’età di Suarez era il doppio della mia e di conseguenza era già un insegnamento vedere cosa faceva, come si muoveva. Io mi dicevo: ‘Porca miseria, in camera con Suarez, devo stare attento a quello che faccio'. Heriberto era un signor allenatore, aveva già le idee proiettate nel futuro. Anche fuori dal campo era un signore e mi ricordo che al lunedì spessissimo invitava gli scapoli a cena a casa sua. Poi era vera la storia che faceva pesare prima dell’allenamento e il giorno dopo, ma non era una punizione era per sollecitare alcuni giocatori a stare in condizione.
Ho esordito contro il Milan, perdemmo in casa due a zero, mi ricorderò sempre quella partita. Entrai e da lì fui praticamente sempre titolare. La Sampdoria mi diede questa possibilità e l’allenatore anche, anche poi quelli che vennero dopo: Vincenzi, Corsini. Allenatori che mi hanno dato sempre credibilità".
Pochi goal ma tutti molto belli? "Ho imparato dagli altri calciatori a calciare, ero fortissimo nella corsa e nei contrasti, poi magari mi mancava una rifinitura o il cross giusto. Correvo molto e quando arrivavo sotto porta perdevo un po’ di lucidità. La vicinanza di certi giocatori è stata determinante, ho fatto pochi goal però ho fatto goal belli e magari anche importanti, non erano goal casuali, erano goal voluti".
Il goal di Torino fu molto particolare ed è rimasto nella storia. “L’hanno chiacchierato quel goal, mi fa piacere parlarne, io quelle cose le avevo, quei gesti tecnici li avevo, non ero sprovveduto. Sapevo fare un dribbling, non ero quello che sapeva solo contrastare, sono quelle cose naturali che ti vengono in quel momento".
Quel tackle con Benetti a San Siro. “Lui era bravo a fare il fallo senza farsi vedere, è successo a San Siro, io dovetti uscire e mi diedero 12 punti di sutura, era bravo ad alzare la gamba in un certo modo senza che gli arbitri lo vedessero".