ESCLUSIVA SN - Bartoletti: "Scudetto Sampdoria un mito irripetibile"
Giornalista, esperto di sport, Marino Bartoletti è una delle più grandi firme sportive che il giornalismo ci abbia mai regalato. I suoi modi eleganti ed educati, la sua infinita conoscenza e quel suo stile pacato ed essenziale lo rendono uno dei personaggi più amati nel mondo del giornalismo. Sampdorianews.net ha avuto il grande onore e piacere di intervistarlo in esclusiva, per fare qualche riflessione sul primo scudetto blucerchiato.
Sig. Bartoletti, iniziamo con un aneddoto: quel 1990-91 fu l'anno delle prime volte. Lei a condurre la prima edizione di Pressing e la Sampdoria campione d'Italia per la prima volta nella sua storia. Un'annata storica. “Per tanti motivi, lasciatemelo dire. Oltre che per la conduzione di Pressing, soprattutto per il fatto che è stato l'ultimo campionato vinto fuori mano. Prima ci fu il Verona, curiosamente nell'anno in cui presentai la Domenica Sportiva. Qualcuno può pensare che porti fortuna (ride, ndr). Devo dire che non mi piace il termine provinciale, perché Genova è un capoluogo di regione e quella squadra era dominante. Fu comunque l'ultimo di quel tipo, ecco, e, per questo, da scolpire nella pietra”.
Torniamo a quel 19 maggio del 1991. Arriva il fischio finale del sig. Lanese, la Sampdoria batte il Lecce e si laurea per la prima volta Campione d'Italia. Quale fu il suo primo pensiero quando le giunse la notizia? “Tirai un sospiro di sollievo, perché avevo organizzato la puntata sulla festa della Sampdoria. Pensa che invitai due personaggi come Paolo Villaggio e Bruno Lauzi in studio, personaggi che a Genova sono ben conosciuti. Kay (Sandvick, la co-conduttrice di Pressing, ndr) per la prima volta non era in studio ma a Genova. C'è da dire che già per la decisiva partita, quell'Inter – Sampdoria a San Siro, avevo invitato in studio Paolo Mantovani e fummo intrepidi a dargli una maglia blucerchiata alla quale, senza esitare, lui attaccò lo Scudetto. In verità, attaccammo anche la coccarda della Coppa Italia, anche se non la vinse quell'anno”.
Quella squadra era davvero forte. Ma come è stato possibile tenere dietro squadroni come Inter, Milan, Napoli? Ci fu qualcosa di speciale, oppure doveva andare così? “Diciamo che la Sampdoria fece molto per farla andare così. Ricordiamoci che il calcio italiano era così forte e c'era una grande alternanza in quegli anni di vittorie. Ricordo il Verona, la Juve, poi venne il Napoli di Maradona, poi arrivò il Milan, poi Inter, ancora il Napoli e la Sampdoria. Nel '90 le squadre italiane conquistarono tutte e tre le coppe europee. La Samp si inserì in questo contesto, chiudendo nel 1991 con lo Scudetto. Quella squadra era figlia di un progetto basato sui giovani - cosa non frequente per l'epoca – dominatrice in Serie A e in Europa e quella vittoria, inoltre, come confessò Mancini, fu anche figlia della rabbia del Mondiale di Italia '90 e di quell'esclusione dalla formazione, lui che era il pupillo del ct Vicini”.
Al di là dei grandi nomi, chi la sorprese di più di quella Samp? “Quella fu una cooperativa incredibile. Se dico Pari qualcuno può storcere il naso, ma c'era anche lui in quella squadra. C'era Dossena, che davano per finito, in quella squadra. Se dico Lombardo, caspita che giocatore. Luca Pellegrini, insomma se faccio un nome farei un torto a qualcuno. Ci fu un'amalgama meravigliosa ma anche delle individualità incredibili, tant'è vero che alcune di esse vinceranno altri scudetti lontano da Genova negli anni successivi”.
Recentemente ha postato un ricordo del deus ex machina di quella Sampdoria, l'Uomo dei Sogni Realizzati, per citarla, ossia Paolo Mantovani. Lei che lo ha conosciuto bene, le ha mai chiesto se sapeva già che sarebbe finita così quell'anno? “Avevamo un grande rapporto ma quel giorno, quando Paolo Mantovani venne da me in studio, percepii l'amicizia vera, perché venne apposta. Non andò neanche allo stadio prima. Non glielo chiesi mai, ma me lo fece capire che quell'anno sarebbe finita in quel modo, anche se sapeva che si trattava di una favola che sarebbe arrivata ad una fine. Si trattò di una cosa unica e, lasciatemi dire, irrepetibile, purtroppo. Nonostante sia i figli che i Garrone abbiano ben agito nel futuro. Sì, forse la Coppa dei Campioni sarebbe stata la giusta chiusura di quell'epoca e invece tutti noi ancora ricordiamo quella maledetta punizione”.
Si avvertiva già allora la sensazione che quella vittoria sarebbe stata l'ultima di una squadra che non provenisse da Roma, Milano o Torino? Trent'anni dopo cosa rimane di quello Scudetto? Lo chiedo prima allo sportivo e poi al giornalista. “No. Non c'era la sensazione che sarebbe stato l'ultimo scudetto di quel tipo, anche perché la Samp continuò a battersi negli anni seguenti. Ci illudevamo potesse andare avanti ed è per questo motivo che quello Scudetto fu una gemma irripetibile che dobbiamo tenere cara e di cui dobbiamo ricordarci. Otto anni fa partecipai alla commemorazione della scomparsa di Paolo Mantovani e rimasi colpito nel campo dell'emozione. C'erano tutti, Mancini venne da Istanbul e Vialli da Londra, tanto per capirci, non vollero mancare. Mancava solo Boskov, che già viveva nel suo, diciamo, oblio ovattato. Fu molto emozionante. Non voglio parlare di leggenda, perché non è così”.
Si può parlare di Mito? “Sì, di mito sì. Assolutamente. Un mito irripetibile”.
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